Il giudice Cesare Terranova e il maresciallo di polizia Lenin Mancuso furono brutalmente assassinati a Palermo la mattina del 25 settembre 1979, vittime di un agguato orchestrato da Cosa Nostra. Solo nel 2000, dopo un’iniziale assoluzione per insufficienza di prove negli anni ’80, il famigerato boss Luciano Leggio fu condannato all’ergastolo come mandante, nonostante fosse già morto da sette anni. Questa vicenda rappresenta una classica storia di ingiustizia all’italiana, resa ancora più crudele dal fatto che le due vittime erano servitori dello Stato, dediti alla lotta contro la mafia.
A quarant’anni dall’omicidio, un regista siciliano, noto per raccontare storie di lotta alla mafia, ha ricostruito la vicenda di Terranova e del suo agente di scorta Mancuso in un film. Il focus è sull’indagine che il giudice avviò contro Cosa Nostra fin dai primi anni ’60. Terranova, descritto come tenace ed energico, scoprì quello che viene definito «il peccato originale della Repubblica italiana»: il connubio tra criminalità organizzata, politica, massoneria e finanza, che rese intoccabili i corleonesi e il loro leader storico Leggio, il quale manifestò pubblicamente il suo odio verso Terranova, soprattutto dopo il processo del 1969 a Bari.
Il film rende omaggio a Terranova, mettendo in luce la sua passione, la scontrosità e la capacità di tirare le fila dei suoi ragionamenti. Attorno a lui, viene raccontata la rete di coperture, omertà, pentimenti, paura, vergogna e ingiustizia che rese complesso, se non impossibile, il suo lavoro. Al fianco dell’uomo di Stato, emerge un altro protagonista: il duro ma giusto Mancuso, una spalla, o più ancora il braccio di Terranova.
Il loro omicidio nel film è lasciato fuoricampo, forse per rispettarne la memoria, ma anche per mantenere vivo il loro esempio. Nella drammaticità di una scia di sangue senza fine, il film proietta il loro sacrificio su figure successive, forse ancora più significative per la memoria collettiva: Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, i cui sacrifici finiranno per cambiare la storia dell’Italia.
Con questo film, il regista si conferma un autore prezioso del cinema italiano. L’opera ha un passo d’altri tempi, didascalico eppure mai televisivo, e grazie all’ottimo cast, sa mantenere alta la tensione e portare lo spettatore dentro il dramma collettivo e decennale dello scontro tra Stato e mafia.
Fonte: La Repubblica