Io sono l'amore

Titolo Originale: Io sono l'amore
Un film di Luca Guadagnino
Genere: Drammatico - Italia (2009) Durata: 115min.
Produzione: First Sun, Mikado Film, Pixeldna. 
Distribuzione: Dolmen Home Video
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Gruppo di famiglia in un interno
La famiglia Recchi è esponente riconosciuta della borghesia ricca e benestante di una Milano senza tempo. L’azienda di famiglia passa di padre in figlio, la ricchezza dovrà essere conservata a tutti i costi e le mura domestiche conterranno ogni possibile scandalo o evento extra-ordinario.
Emma (Tilda Swinton), oppressa dal perfetto scorrere di una vita già scritta, comincia a sentire la disgregazione dall’interno della sua famiglia e si abbandona alla pulsione verso la fuga dall’ordinario alto-borghese che la rinchiude tra i Recchi…

"Le abitudini si possono cambiare"
Le tragedie si piangono allo stesso modo, senza differenza alcuna se le lacrime verranno assorbite dal cotone più grezzo o dal cashmere più fine.
Il titolo è tratto dallo splendido crescendo emozionale del film Philadelphia di Jonathan Demme (che compare per pochi secondi in sottofondo a una scena del film), o meglio dall’opera di Umberto Giordano Andrea Chénier. Non a caso si fa notare la scelta di un titolo così particolare per una storia che suggerirebbe tutt’altri sentimenti e conclusioni quasi opposte: avrebbe potuto, infatti, chiamarsi in numerosi altri modi più ordinari senza suscitare scalpore, ma il titolo finisce per puntualizzare il legame stretto del film con l’arte.
Si respira in tutto l’arco del film di Guadagnino (finalmente sganciato dall’orribile gabbia creata dal precedente lavoro, Melissa P) una certa tensione verso tutto ciò che possa essere considerato “arte”. Si parte dall’architettura: una Milano insolita, ma non inedita, forse poco considerata e certamente perduta agli occhi di molti cineasti che hanno provato a raccontarla senza la stessa efficacia di Guadagnino. Scorci senza tempo, scovati quasi senza un ordine preciso, pochi tratti visivi per accompagnare i titoli di testa (ricorda l’incipit de La notte antonioniana, con la discesa verticale della Torre Velasca) che riescono a rendere affascinante Milano, spesso associata al lavoro e al grigio del cielo che la sovrasta, ma capace di riservare piacevoli sorprese nelle facciate dei palazzi antichi e nei cortili nascosti delle ville. Poi si passa alla musica, con la fusione perfetta tra le azioni dei personaggi e i crescendo classicheggianti di John Adams: ogni situazione, ogni reazione, è perfettamente contrappuntata dall’accompagnamento musicale (che sia la discesa irruenta di una scalinata o il susseguirsi lento delle portate a una cena di famiglia). Dal punto di vista gastronomico, i piatti creati da Antonio (Edoardo Gabbriellini) sono delle vere e proprie opere d’arte, per cui è stata necessaria la consulenza di un artigiano della cucina milanese come Carlo Cracco. Infine, è nel personaggio di Elisabetta (Alba Rohrwacher) che si manifesta tutta la propensione verso una vena artistica, prima nella pittura poi nella sterzata verso la fotografia, quasi fosse un tratto identificativo necessario per chi faccia parte di una certa società altolocata.
Dalle primissime scene si nota una composizione curata del quadro,consona con gli ambienti in cui è girato (soprattutto nella casa dei Recchi, una delle vecchie ville della ricca Milano aristocratica). La dimensione familiare è subito connotata di un’esasperata formalità, che emerge chiaramente da rituali sfarzosi come le cene o i pranzi: una gabbia oppressiva e frustrante delle libertà, in cui le personalità più spiccatamente artistiche come Elisabetta o Edoardo (o popolari per origini come Emma) finiscono per essere subordinate alla logica della produttività o della facciata da preservare a tutti i costi.
Punto di forza indiscusso del film è l’interpretazione immensa di Tilda Swinton: ogni espressione premette di capire con largo anticipo ciò che avverrà. I figli crescono, la casa si svuota e il suo girovagare lento in tutto quest’ordine inutile ed eccessivo esprime perfettamente il senso di oppressione e la volontà di trovare un’evasione, in qualunque forma si presenti, per poter finalmente dare senso alla sua rivoluzione d’amore. La bravura di Guadagnino sta anche nell’essere secco e spietato con i propri personaggi, seguendo il filo dell’emotività che non si può contenere entro regimi di formalità eccessiva e che prorompe nella necessità di una fuga liberatoria (per Elisabetta sarà il viaggio a Londra e la scoperta di un’omosessualità inattesa quanto sconveniente; per Emma la storia d’amore e passione travolgente con Antonio).
Al di là della scarsa identificazione possibile per il pubblico – l’antipatia istintiva dello spettatore per i Recchi sarà immediata, già dalla prima scena della cena di famiglia, e funzionale per isolare il personaggio di Emma (Tilda Swinton) e creare con esso un legame empatico – e della reale riuscita di questo titolo, l’idea di fondo di Guadagnino di riportare in auge un certo cinema “italiano” è lodevole e da incoraggiare: se affrontata nei termini giusti e senza eccessiva riverenza, la produzione dei grandi registi, da Visconti ad Antonioni a Fellini, può essere avvicinata e replicata in chiave moderna. Certamente Io sono l’amore ha i suoi difetti di realizzazione e di ideazione, dimostra ancora di avere troppa soggezione e paga dazio, ma può essere considerato un buon punto di partenza per lavorare in questo senso.
INCONTRO STAMPA

Il regista Luca Guadagnino, le attrici Tilda Swinton (Emma Recchi), Marisa Berenson (Allegra Recchi), Alba Rohrwacher (Elisabetta Recchi), Diane Fleri (Eva Ugolini), gli attori Pippo Delbono (Tancredi Recchi), Flavio Parenti (Edoardo Recchi jr.), Edoardo Gabbriellini (Antonio), Mattia Zaccaro (Gianluca Recchi) incontrano la stampa e le istituzioni a Milano per presentare il film.

Assessore alla cultura di Milano, Finazzer Flory: solo per dire quanto sia importante per Milano un film come Io sono l’amore. Sotto la regia di Luca Guadagnino, abbraccia molti aspetti della nostra città, estetici, etici, e fa i conti con la soggettività dell’amore perché l’uomo è l’unico essere umano a dire “io”. Ci offre inquietudine, attraverso temi come quelli della moda, del design, del gusto, del cibo: tutto rimanda a Milano come una città bellissima. L’interpretazione e i temi rimandano ad un’epoca forse passata, in cui la condizione economica coincideva con quella culturale. Oggi, forse, non è più così e il film ci suggerisce anche un monito per ritornare a pensare insieme l’una e l’altra dimensione. Un film paradigmatico della Milano che vorremmo.

La neve all’inizio faceva già parte della sceneggiatura o è stato un caso?
Guadagnino: la neve era nella sceneggiatura ed è una di quelle cose spericolate che gli sceneggiatori e i registi mettono nelle sceneggiature, pensandosi in un universo industriale un po’ diverso da quello in cui vivono. Man mano che ci siamo avvicinati al momento in cui avremmo dovuto fare questo film e creare con l’artificio quest’immagine di una neve che ricopre la città, ci siamo resi conto che era impossibile riuscire a farcela, perché giravamo ad Agosto; perché i mezzi del film sono modesti. Per cui riuscire a restituire l’immagine credibile di una città sotto la neve, con i mezzi di un cinema italiano medio, era abbastanza impossibile. Spericolatamente, nel mezzo delle riprese, abbiamo deciso di girare con della neve finta, per quanto avremmo potuto riuscire a fare – il giardino di Villa Necchi e alcuni piccoli scorci – e poi con la fede nel dio del cinema, ci siamo concentrati e abbiamo fatto arrivare la neve il 6 gennaio del 2009, sei mesi dopo la fine delle riprese. Senza perdere tempo siamo volati con tre persone e altrettante macchine da presa e abbiamo girato tutto quello che potevamo.

La relazione con l’arte e con la pittura in questo film è impressionante: il rapporto di Tilda Swinton con l’arte è molto famoso, ma tu hai scelto una giovane artista visiva, Alice Guareschi, come tramite del mondo attuale milanese dell’arte. C’è un motivo?
Guadagnino: in primo luogo c’è da dire che Milano è la città che amo profondamente, la città in cui mi sento più in una dimensione intima, quella italiana in cui mi piace di più stare, frequentare, vivere. La sua manifestazione architettonico-urbanistica è la salvezza di questa città, che ritengo sia, purtroppo alla deriva, assoluta e totale. Fare un film a Milano vuol dire, quindi, fare omaggio a questo universo. Uno dei privilegi di chi fa il mio mestiere è quello di potersi confrontare e di conoscere artisti: le persone più libere del mondo. Alice è un’artista che stimo molto e mi sembrava giusto che la sensibilità di Guareschi potesse aiutare Alba (Rohrwacher, ndr).

Come hai scelto la colonna sonora?
Guadagnino: nel 2005, quando facevo Melissa P., il vicepresidente della Sony, con cui lavoravo all’epoca, il grandissimo Gareth Wigan – scomparso il mese scorso – mi regalò, per il mio compleanno, sorprendendomi e spiazzandomi, dieci cd di musica classica straordinari. Tra questi c’era Naive & sentimental music di John Adams. Quando lo ascoltai, riconobbi la musica che intimamente poteva essere nel mio film. Ho passato il testimone a Tilda (Swinton, ndr) e lei ha scritto una straordinaria mail a Mr. Adams, che ha risposto come tutti i grandi, subito, con grande disponibilità.

Lei crede che la decadenza di queste grandi dinastie, di questi grandi nomi, anche internazionali, sia legata a una loro crisi interna, proprio di costume, non tanto in rapporto con la società esterna che è cambiata?
Delbono: parlando del film, mi viene in mente che c’è una malattia: vediamo subito che è un film italiano. Io non sono particolarmente d’accordo con quanto detto prima, non credo sia una “bella” Milano: si parla di una borghesia che ha perso la poesia, che si è incastrata con un meccanismo di maschera ed ha perso la libertà profonda. Si pensa sempre che gli scandali siano dei commercianti più che degli imprenditori, delle persone “volgari” più che di chi ha un’etica. Invece, le cose più scandalose avvengono tra chi gestisce i teatri: il paese è malato e punto. Per fare un esempio, mi ha colpito un grande imprenditore americano, omosessuale, che vive da vent’anni con il suo compagno messicano sprovvisto del permesso di soggiorno e quando vanno al cinema ha sempre paura che lo caccino via. Ebbene, sono sempre stato colpito da questa imprenditoria e da questa strana folle libertà, anarchici nel loro sentire più profondo. Questa famiglia (la famiglia Recchi protagonista del film, ndr), per cui parlo io, è imbacuccata, sembra quasi una famiglia morta, in cui l’unica forma che esce fuori è proprio questa donna che decide di essere libera: è un atto politico, rivoluzionario. Secondo me c’è una morte anche nella classe operaia, basta vedere un programma qualsiasi alla televisione: la malattia è radicata e questo è l’effetto di un paese malato in tutte le sue piccole strutture. In questo film si vede questo: gente che è in una formalità talmente estrema da aver perso l’anima.

Tilda Swinton, lei si è data anima e corpo, anche letteralmente, a questo film: con quali aspettative e perché ha deciso di dare fiducia a Luca Guadagnino?
Swinton: con Luca siamo amici da moltissimi anni. Io, nella mia vita, sono stata fortunata, perché ho sempre avuto la possibilità di lavorare, di costruire il mio lavoro con amici. Ho iniziato la mia carriera artistica nel cinema con un regista come Jarman (Derek, ndr), con cui ho lavorato per nove anni, finché lui non è uscito di scena. Questo modo di lavorare che ho imparato con lui è un’abitudine di cui non riesco assolutamente a sbarazzarmi. Fortunatamente Luca è entrato in scena più o meno quando Derek se n’è andato. Con lui abbiamo stabilito un rapporto di amicizia assolutamente unico, insieme a lui mi è sempre sembrato di lavorare in famiglia: il nostro lavoro è un prodotto familiare, ma è anche un prodotto d’amore. Come tutti gli amici parliamo tantissimo, soprattutto di cinema, e molto presto il nostro rapporto ha cercato di capire quale film avremmo potuto realizzare insieme. Vogliamo entrambi un certo tipo di cinema, che si basa sulla libertà che non conosce confini nazionali: entrambi riteniamo che l’arte non esista a livello nazionale, ma sia un’espressione internazionale, così com’è il cinema. Siamo, insomma, due alieni che si sono incontrati e che insieme vogliono costruire dei progetti alieni come è questo film. È da sette anni che lavoriamo insieme ad un’idea di rivoluzione d’amore da portare sugli schermi e oltre a questo film ci sono altri progetti che abbiamo in mente, di ispirazione classica, ma che vogliono spingere il linguaggio cinematografico oltre quelli che sono stati i canoni del cinema classico per adattarlo ai nostri tempi, alla nostra modernità. Abbiamo autori e cineasti che amiamo e che sono un riferimento per noi: Hitchcock, Visconti, Antonioni, John Houston, ci hanno insegnato qualcosa ma cerchiamo noi stessi di creare la nostra forma di espressione.
DVD
Caratteristiche tecniche
Formato video: 1.85:1
Formati audio: italiano Dolby Digital 5.1; italiano Dolby Digital 2.0
Sottotitoli: italiano per non udenti

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