Killer tour
In giro per le strade d'America alla ricerca dei luoghi simbolo dei serial killer statunitensi. Brian, dottore in criminologia, vuole scrivere un libro sull'argomento insieme alla fidanzata Carrie, fotografa professionista. Ma costa troppo, così i due decidono di dividere le spese con una coppia di sconosciuti, il selvaggio Early e la sua Adele. La natura di Early non tarderà a saltar fuori...
California dreaming
Quando ancora
Californication non era nemmeno un album dei Red Hot Chili Peppers - figuriamoci una serie televisiva che avrebbe rilanciato la carriera di David Duchovny - già lo stato più popoloso degli USA aveva segnato la carriera di quello che da pochi mesi era diventato noto come il Fox Mulder di
X-Files. Era il 1993 e alla Mostra del Cinema di Venezia veniva presentato
Kalifornia, non certo il lavoro più famoso dei pochi prodotti cinematografici realizzati da Dominic Sena, che ha diretto anche
Fuori in 60 secondi e
Codice Swordfish.
Il film ruota intorno alla storia di Early, interpretato da un sudicio Brad Pitt, spiantato assassino che affronta con la sua Adele un lungo viaggio verso la California in compagnia di una coppia di sconosciuti dalle personalità diametralmente opposte alle loro. Brian è uno scrittore, Carrie una fotografa, e insieme stanno lavorando a un progetto sui serial killer. Lo spettatore è portato a identificarsi con la coppia più sofisticata e a condividere il suo punto di vista attratto in maniera quasi morbosa dalla follia di Early. Questo escamotage riesce in parte a elargire profondità a una trama che altrimenti ne avrebbe senza dubbio difettato.
Il quartetto di attori è convincente, non solo un ottimo Pitt, ma anche una efficacissima Juliette Lewis, all'epoca ancora lontana dalla carriera musicale - nemmeno troppo brillante - che avrebbe intrapreso qualche anno dopo, e anzi si godeva la nomination all'Oscar come Migliore Attrice Non Protagonista per
Cape Fear. Sena dovrà star fermo ai box per molto tempo dopo lo scarso successo al botteghino di questa pellicola: i 2,5 milioni di dollari di fatturato non bastarono a coprire nemmeno un terzo dei 9 milioni circa necessari per la realizzazione, e anche la critica non si schierò unanimemente a favore del regista americano. Ciononostante, ancora oggi, a diciassette anni di distanza, la lunghissima inattività a cui Sena fu costretto suona come una mezza ingiustizia:
Kalifornia non è certo un capolavoro, ma è sicuramente un buon film.