Una tecnica per sconfiggere la balbuzie
Bertie, duca di York e secondogenito di re Giorgio V, viene indirizzato dalla moglie Elizabeth allo studio medico del logopedista australiano Lionel Logue. Lo scopo è quello di eliminare alla radice la difficoltà a esprimersi a parole, che accompagna l’uomo sin dalla tenera età di cinque anni. La cura poco convenzionale che Logue gli riserverà, finirà per aiutare anche l’autostima di Bertie, soprattutto in alcuni momenti difficili della sua vita come il decesso del padre e la decisione del fratello David di abdicare al trono per questioni sentimentali…
Il potere della volontà
La sensazione che Il discorso del re porterà finalmente il successo dovuto a Colin Firth durante la serata degli Oscar è divenuta più che una certezza, soprattutto dopo gli scorsi Golden Globe Awards. È in prevalenza merito suo se il film di Tom Hopper è così particolarmente speciale: l’attore inglese interpreta un Giorgio VI che agisce con fare spaventato sebbene cerchi di dissimularlo, per cui sotto la sua finta autorevolezza emerge l’incapacità di controllare la propria voce. Per questo motivo è necessario che la sua paura venga neutralizzata da un qualche logopedista (l’eccellente Geoffrey Rush) privo di superficialità e indifferenza. Nel film compare pure Mrs. Burton - al secolo Helena Bonham Carter - nelle lussuose vesti di Lady Elizabeth Bowes-Lyon, moglie di Giorgio VI e madre di Margaret e della futura regina Elisabetta II. Chissà se il film avrebbe decollato ugualmente nel caso in cui Hugh Grant non avesse declinato l’invito a interpretare il monarca balbuziente… Inutile, però, ragionare sui “se” ipotetici; accontentiamoci semmai che il doppiaggio italiano sia all’altezza di sua “altezza” Colin Firth!
Il regista de Il maledetto United (2009) allestisce un dramma intimo in tre atti facendo sì che l’azione si sviluppi essenzialmente in interni senza stancare mai lo spettatore, specie chi ignorava del tutto il problema fonetico di questo re. Ben lontana dal tedio è la sensazione che avvolge il pubblico, giacché partecipa ai piaceri indiretti e ai piccoli e grandi trionfi personali di Giorgio VI. Tanto è vero che il conflitto, prima di divenire reale, è già dentro il cuore stesso del protagonista.
Nel finale si assiste a una teatralizzazione delle operazioni militari, come se la guerra non fosse altro che una messa in scena, uno spettacolo da ascoltare alla radio: lo si vede chiaramente nel discorso pronunciato dal regnante, in occasione dell’entrata in guerra del Regno Unito contro le truppe naziste di Hitler (che in campo di oratoria non si faceva battere da nessuno). Del resto, pure l’anziano sovrano Giorgio V aveva definito il medium per eccellenza degli anni ’30-’40 come uno show tremendo da affrontare con coraggio ed english self-control, visto che la trasmissione via etere di notizie aveva ormai posto in secondo piano il circo di maschere delle uniformi militari. Lo spettatore sa fin troppo bene che il luccichio dei monitor televisivi porrà poi fine alla scaletta degli argomenti, per ripristinare il principio assoluto della fotogenia del leader politico.