«Ti aiuterò a riscoprire la tua mascolinità. Hai idea di quando l’hai perduta?»
Cal è un uomo sulla quarantina, agiato e con una famiglia felice. Tutto precipita improvvisamente quando la moglie confessa di tradirlo e di volere il divorzio. Cal è un uomo perduto, si lascia andare ubriacandosi in locali. Qui incontra Jacob, un tombeur de femme, che lo incoraggia a ritornare sulla piazza. Abiti giusti, locali giusti, atteggiamenti giusti. Cal impara presto le lezioni di sciupafemmine, ma Jacob, a sua volta, vira drasticamente rotta. Si innamora perdutamente di una ragazza, Hannah, e si trasforma in un irreprensibile monogamo. Parallelamente anche Robbie, il figlio tredicenne di Cal, si è preso una cotta disperata per la sua babysitter diciassettenne Jessica…
«Deve essere stato nell’84»
Tre età e tre generazioni diverse messe a raffronto, con i loro diversi costumi sessuali, con la loro morale, la facilità e l’importanza che si dà ai rapporti con l’altro sesso. Le certezze degli stili di vita vengono messe in crisi proprio con il confronto intergenerazionale, con le storie d’amore, che nascono o rimangono platoniche, tra persone di differenti età. Cal nella sua vita ha avuto, finora, solo una donna, Emily, una quanto mai stupenda Julianne Moore. Era la fidanzatina del college, poi diventata moglie e madre di famiglia. È quest’ultima però a infrangere un equilibrio apparentemente perfetto, tradendo il marito con il collega, il famigerato David Lindhagen. I quarant’anni dovrebbero rappresentare l’età della sicurezza e della tranquillità affettiva, ma questa stabilità si può rivelare precaria. La vita coniugale si rivela come una pura routine da cui uno dei due partner può cercare di fuggire. «Non so quando tu e io abbiamo smesso di essere “noi”. Insomma, capisci?», dice Emily al marito.
Cal è colpito nel suo ego maschilista e reagisce tentando recuperare quella virilità perduta, quel dongiovannismo che in realtà non aveva mai praticato. E dovendo fare i conti con un fisico ormai non più giovane. Prende a modello Jacob, la cui parabola sarà esattamente speculare. Per lui, trentenne, le donne sono un semplice passatempo, le cambia come si cambiano le camicie. Ma anche lui si convertirà a uno stile di vita morigerato dopo aver perso la testa per una ragazza, Hannah, ventenne. Gli opposti si attraggono, sembrerebbe. Lei non è la classica ragazza facile che cade subito ai piedi di Jacob. Al contrario gli resiste, ma è quella che sa coglierne la dolcezza e l’umanità nascoste sotto coltri di machismo.
I ruoli dei due personaggi principali, Cal e Jacob, così si invertono. Tutte le nostre certezze, affettive, di stili di vita, possono vacillare ed essere stravolte se si è colpiti dalla freccia di Cupido, che può arrivare in qualsiasi momento. Ma che può anche essere fonte di problemi sentimentali nei confronti dei quali si è indifesi, a qualsiasi età si manifestino. Lo dimostra il figlio di Cal, che si è invaghito, non ricambiato, della sua babysitter di quattro anni più grande, che in quell’età rappresentano un gap ragguardevole. E il suo monologo finale, detto pubblicamente nel discorso per il diploma davanti a tutta la scuola, sulla precarietà dei sentimenti, sull’illusione, subito stroncata, della felicità a portata di mano, rivela una grande saggezza. Robbie, un tredicenne, ha capito tante cose della vita, quelle che i personaggi adulti sembrano non possedere o essersene dimenticati o avere rimosso. La sua storia, marginale rispetto alle altre, è l’ulteriore situazione speculare e funziona quasi come prova del nove, dimostrazione dell’assunto del film. A lui è affidato il ruolo didascalico.
La commedia dei sentimenti funziona alla perfezione. Tuttavia il film non si limita a impostare un problema lasciandolo aperto. Al contrario sposa una morale, quella della stabilità dei sentimenti, dell’esaltazione della condizione monogamica cui si deve tornare anche dopo eventuali incidenti di percorso. In questo senso va vista la correzione di Jacob verso la “retta via”. Si tratta di una morale facile, utile agli usi domestici. E il film ripropone tutta una serie di elementi triti e ritriti, da Happiness ad American Beauty, normalizzandoli e moralizzandoli (anche il secondo).
Strutturalmente Crazy, Stupid, Love funziona con una ferrea sceneggiatura, costruita sulle simmetrie interne, e una situazione clou - quella in cui si ritrovano tutti i personaggi e si scoprono le magagne - che sarebbe degna di una commedia classica. Ma perché non finire qui, con questo apice, invece di fare tutti quegli ulteriori finali, uno più inutile dell’altro?