Uomini e dei
Deciso a sovvertire il regno degli dei, che non intervengono nelle questioni umane per non ostacolare il libero arbitrio, lo spietato re Iperione guida un esercito di soldati senza volto per recuperare l'arco di Epiro, l'unica arma che gli permetterà di liberare i Titani dalla loro prigione nel monte Tartaro. Contro di lui si solleva Teseo, un giovane di umili origini ma di grande coraggio, cui Iperione ha ucciso brutalmente la madre; unitosi a Stavros, un ladro incontrato durante la schiavitù, a Fedra, l'oracolo della Sibilla, e a un sacerdote, Teseo parte alla ricerca dell'arco, per evitare che il mondo degli uomini precipiti nel caos...
Il mito dagli occhi di Tarsem
Reduce dall'eterea bellezza di The Fall, gioiello che non ha nemmeno ricevuto la "grazia" delle sale italiane, Tarsem punta sull'epica per imporre il suo nome nell'industria hollywoodiana, mediando fra gli obblighi di un kolossal e gli impulsi del suo personalissimo talento visivo. Le sue geometrie spaziali astratte, ma estremamente calcolate, devono quindi misurarsi con un prodotto più convenzionale e mainstream rispetto al passato: la sceneggiatura dei fratelli Parlapanides reinventa il mito greco a uso e consumo delle grandi platee, semplificando il personaggio di Teseo e impostando l'avventura in termini essenziali (un eroe giusto, un antagonista che vuole distruggere lo status quo e reprimere l'individualità del singolo, la ricerca di un oggetto prodigioso...), eppure a questa rilettura - molto libera - non manca una discreta classe, avvertibile nei dialoghi sentenziosi ma suggestivi e nella tematica dell'immortalità, che gli uomini guadagnano attraverso le azioni compiute in vita, e poi scolpite nella Storia. Ed è proprio il valore delle azioni a farsi principio fondante di Immortals, azioni titaniche che sfociano in scelte di natura eroica, volte al bene comune, compiute da personaggi che, fedeli al dovere del sacrificio, consapevoli di entrare nella leggenda (caratteristica tipica di molte figure della mitologia greca), si pongono a esempio per le generazioni future.
Nelle mani di Tarsem, questo materiale diviene un espediente per esaltare la visceralità parossistica del mito, inserendolo in un contesto quasi atemporale: l'intero apparato visivo, a cominciare dagli splendidi costumi di Eiko Ishioka, mira a una stilizzazione straniante di matrice fantastica, che però abbraccia riferimenti pittorici colti; in particolare, Tarsem lavora sull'espressività della luce in senso caravaggesco, illuminando il nucleo drammatico della scena come se la luce stessa (il «dito di Dio», nelle parole del regista) fosse animata da personalità e autocoscienza. I riferimenti sono in realtà molteplici ed eterogenei - rintracciabili persino nell'intrattenimento elettronico, se si considerano le spettacolari sequenze d'azione - e ciò che ne risulta è un fantasy sontuoso che, pur pagando qualche momento di stanchezza, esplode nel finale in un trascinante crescendo emotivo, esemplare sia nel montaggio sia nella gestione dei tempi narrativi.
Un'avventura epica raffinata, che riesce a bilanciare in parti uguali entertainment e ricercatezza dell'immagine.