Shakespeare o non Shakespeare?
Inghilterra, fine dell’epoca elisabettiana. I giochi di potere per la successione al trono d’Albione si incrociano con le vicende del cortigiano Edward de Vere, uomo di grande cultura e prolifico drammaturgo. Ricattato dal consigliere della Regina William Cecil, che ha assistito a un omicidio da lui compiuto, è costretto a rinunciare alla carriera letteraria. Trova così un attore scapestrato, certo William Shakespeare, che gli fa da prestanome.
Il film sposa la controversa “Dichiarazione di ragionevole dubbio riguardo l’identità di William Shakespeare” che mette in dubbio la reale paternità dell’opera attribuita a Shakespeare, ritenendo che questa, per la sua estrema complessità e ricchezza lessicale e culturale, non poteva che essere attribuita a una figura nobile, dal grado di istruzione molto elevato e profondo conoscitore degli intrighi di corte, come appunto lo era de Vere.
C’è del marcio nel cinema di Emmerich
Dopo Godzilla, gli alieni e l’effetto serra, Roland Emmerich approda a Shakespeare. È un’operazione che può in effetti ricordare quella di L'alba del giorno dopo: prendere una teoria, dibattuta o controversa, scientifica come storiografica, quella dei climatologi sul surriscaldamento planetario così come quella degli anti-Stratfordiani sulla paternità delle opere attribuite al Bardo. Non è certo comunque la volontà di impostare un dibattito storico-letterario che muove il furbastro regista, e almeno L'alba del giorno dopo poteva essere fatto passare come un pamphlet ambientalista. E in fondo la tesi del film è trattata come le teorie cospirazioniste sull’11 settembre. Quello che gli interessa è poter realizzare un film pomposo, una soap opera storica, con mirabolanti ricostruzioni d’epoca, imponenti scene di massa, inquadrature panoramiche mozzafiato. Da questo punto di vista il film funziona, certo, ma, a ben vedere, quello che manca nel film è proprio Shakespeare, inteso come figura letteraria a prescindere dalla sua persona fisica reale, qualunque essa sia stata. Non sono certo l’omicidio in stile Polonio, o la scialba ricostruzione delle congiure alla corte elisabettiana, in grado di rievocare l’universo immaginato da Shakespeare, o di chi per lui. E nemmeno il plot fondato sullo scambio d’identità, tipico del Bardo, o la presenza massiccia di attori shakespeariani, o che si sono confrontati con il drammaturgo (da Mark Rylance a Derek Jacobi, fino alla stessa Vanessa Redgrave). Da questo punto di vista, Anonymous ambisce a Shakespeare in Love, divertissement citazionista dall’opera del Bardo, così come a Il Codice Da Vinci, giallo storico, per non dire ad Amadeus, finta biografia artistica, senza però riuscire minimamente ad avvicinarsi a nessuno di questi. E non basta nemmeno che il film inizi all’interno di un palcoscenico teatrale, con in scena il shakespeariano Derek Jacobi. Il teatro si fa vita, realtà e storia. Riguardiamoci Vanya sulla 42ª strada, piuttosto.