L’arte di arrangiarsi
Prima militare in Algeria, ora impiegato senza uno straccio di prospettive alle Ferrovie del Nord nella Parigi del 1890. Ma la vita di Georges Duroy a breve riceverà dal di fuori un gran scossone. Riabbracciato il commilitone di un tempo Charles Forestier, il giovane viene instradato dall’amico nei meandri dell’alta società. In men che non si dica, Duroy ottiene un posto come redattore presso il quotidiano La Vie Française e si ritrova con le tasche piene di soldi. Per incrementare la sua somma di denaro, Duroy non si fa nessun problema a sedurre e manipolare le ricche signore che cadono ai suoi piedi. È destinato a diventare un uomo potente.
Far carriera sfruttando il gentil sesso
«Ognuno per sé. La vittoria è degli audaci. È tutta questione d’egoismo. L’egoismo per l’ambizione e il successo vale più dell’egoismo per la donna e per l’amore». Questo è il biglietto da visita di Georges Duroy, il protagonista del secondo romanzo realista di Guy de Maupassant. Da che passa il tempo a ribollire e strascicare i piedi nei più luridi caffè parigini, l’ex militare Duroy decide di intraprendere una strada - neanche troppo impervia - in grado di portarlo dalla base ai vertici della scala sociale. Soddisfacendo le esigenze bio-fisiologiche delle signore più “in” della Ville Lumiere, il giovane Georges riesce a evadere dalla mediocrità di chi è venuto al mondo provvisto solo di uno scaltro intelletto e nient’altro.
I registi Declan Donnellan e Nick Ormerod fanno assomigliare le conquiste amorose di “Bel Ami” a un ingorgo stradale. Duroy viene presentato alla stregua di un ingrato autostoppista il quale, invece di ringraziare le donne che gli hanno dato un passaggio lungo l’autostrada del successo, mostra nei loro confronti soltanto disprezzo e indifferenza. La possibile vittoria dei due autori si sarebbe potuta intravedere qualora avessero deciso di dirigere un’opera meno semplice, piatta e altisonante di quella che effettivamente hanno realizzato. Pensare poi a un attore ancora piuttosto inesperto come Robert Pattinson per interpretare il ruolo di chi parte dal basso per inerpicarsi sino in cima alla vetta rischiava di essere una mossa d’azzardo. E così effettivamente è stato. Quando lo spettatore intravede sul grande schermo l’ovale pallido ed emaciato dell’attore, incorniciato da un paio di labbra carnose ma sbiancate, pensa: «Siamo a cavallo! Ecco che riappare quel bel tenebroso di un vampiro!». Se permettete, però, anche questa volta parliamo di “vampiro”, sebbene in una diversa accezione del termine. Qui il suo essere cacciatore è da intendersi in senso meno letterale e più metaforico, in altre parole come predatore delle ricchezze e del talento altrui. Un noto aforisma recita che dietro a un grande uomo c’è sempre una grande donna, ma il seguente caso rappresenta una caratteristica più unica che rara: in Bel Ami le grandi donne che veicolano la fortuna del protagonista sono tre, di cui una addirittura può essere definita una ghost writer ante litteram.
Tornando a Pattinson, fortunatamente i vuoti problematici dovuti alla sua recitazione superficiale vengono dissimulati dalla sensibilità e abilità delle interpreti femminili. Apprezzare le ottime performance di Uma Thurman, Kristin Scott Thomas e Christina Ricci nelle rispettive vesti di Madeleine Forestier, Virginie Rousset e Clotilde de Marelle è, infatti, l’unico antidoto per evitare di lasciarsi logorare dalla noia durante la proiezione.