The Wonder
Dopo aver visitato all’apice del loro amore Mont Saint Michel – in passato conosciuta in Francia come La Meraviglia - Marina (Olga Kurylenko) e Neil (Ben Affleck) arrivano in Oklahoma, dove presto nascono i problemi. Marina incontra un prete anche lui in esilio (Javier Bardem) che sta lottando contro la sua vocazione, mentre Neil rinnova il legame con l’amica d’infanzia Jane (Rachel McAdams).
Un poema di anime erranti
Corpi dissolti nello spazio, occhi rapiti nell'estasi della Meraviglia: il cinema unico di Terrence Malick non conosce logiche diverse dal proprio flusso di coscienza, e anche To the Wonder è un fiume sensoriale che ci trascina via con lui, almeno per chi è disposto ad abbracciarne tempi, ritmi e contemplazioni visive. La fruizione, ancora una volta, assurge a un livello superiore e si fa esperienza, viaggio travolgente di stimoli che impegnano lo sguardo e l'udito fino a uno stato di sospensione immateriale, quando i personaggi divengono emblemi di una ricerca che tocca il trascendente. To the Wonder è un poema di anime erranti, sole, alla costante ricerca di un legame definitivo che mai arriverà: si sfiorano, si compenetrano, si amano, ma poi si abbandonano. È così per l'amore sensuale - quello fra Neil, Marina e Jane - ma anche per l'amore spirituale, nella figura di un prete che attorno a sé, fra i tormenti di una fede indebolita, quasi dissolta, non vede più alcuna traccia del divino. Eppure la Bellezza è ancora tangibile, e nessuno la sa cogliere come Malick; una bellezza che si avvicina al sublime: la suggestione della Natura rischia di esplodere oltre i confini del quadro, mentre la macchina da presa resta incollata ai personaggi, li pedina e li accarezza con dolcissimo trasporto, li lascia liberi nel mondo come figli ormai cresciuti. Questa libertà, pur combattuta, è ben radicata nel corpo di Marina, donna tradita, ferita, bisognosa di affetto, che non ha perso lo slancio giocoso dell'infanzia ma deve venire a patti con la verità dei sentimenti, di fronte alla quale appare delicata come le spighe di grano che affollano i campi dell'Oklaoma. To the Wonder, in tal senso, intesse una trama amorosa molto semplice, persino banale; ma Malick la trasfigura in termini epici, la espande sul piano metafisico delle emozioni assolute, eteree, immutabili. Più che una narrazione, un torrente uditivo-visuale. Le immagini si susseguono per associazioni d'idee, il racconto procede per ellissi, accenni, rapidi colpi di pennello che poi sfumano e attraversano altre dimensioni, sia spaziali sia temporali. Accade così che il tumulto della passione, sussurrato dalla voce extra-diegetica, dia luogo a una polarità tra maschile e femminile che in The Tree of Life era particolarmente esplicita, ma qui scorre a livello sottocutaneo, e sembra contrapporre da un lato la granitica immutabilità (ma anche incomunicabilità) maschile, e dall'altro la limpida mutevolezza femminile.
In effetti Malick predilige la via della Grazia alla via della Natura, questo è chiaro. Ha il talento e la sensibilità di scorgerla in ogni luogo, anche il più banale, conquistando l'equilibrio fra Uomo e Ambiente: nei suoi film, e To the Wonder non fa eccezione, i personaggi non esistono nello spazio, ma con lo spazio. Vivono in simbiosi, sono gli interpreti del medesimo spettacolo. Ed è uno spettacolo meraviglioso.