Danger girl(s)
Attaccata da Jill Valentine sulla nave dov'era nascosto Albert Wesker, Alice precipita in mare e perde conoscenza, per poi svegliarsi all'interno di una struttura misteriosa e ipertecnologica. Un inaspettato aiuto esterno le permette di scappare dalla sua cella, ma di fronte a lei ci sono decine di creature mutate dal T-Virus, oltre a Valentine e all'esercito della Umbrella che le danno la caccia. A offrirle supporto, in compenso, intervengono Ada Wong e un gruppo di uomini inviati per salvarla, fra cui Leon S. Kennedy...
«Congratulations, you're officially a bad ass.»
Il dialogo fra cinema e videogiochi segue da anni un doppio binario parallelo, diviso fra la rielaborazione creativa dei linguaggi (è il caso di film come Matrix, Scott Pilgrim o Source Code) e l'adattamento diretto - spesso inconcludente - delle saghe videoludiche, con trame, contesti narrativi e personaggi che vengono trasportati su grande schermo in modo più o meno pedissequo, rivelandosi inevitabilmente come derivazioni impoverite e "non interattive" degli originali. Resident Evil si pone invece a metà strada fra queste due tendenze, soprattutto con il quinto capitolo, Retribution: prendendo le distanze dal videogioco - scelta poco apprezzata dai fan - Resident Evil è riuscito però a guadagnare indipendenza, costruendo così un proprio franchise cinematografico che resiste da dieci anni, e ottenendo risultati ampiamente superiori sia in termini economici sia in termini produttivi (da Max Payne a Hitman, da Alone in the Dark a Prince of Persia, le altre trasposizoni si sono fermate tutte al primo episodio, con l'eccezione di Silent Hill che quast'anno avrà un sequel).
L'evoluzione cinematografica di Resident Evil è comunque legata indissolubilmente al suo artefice principale, quel Paul W.S. Anderson che scrisse e diresse il primo episodio nel 2002, per poi tornare alla regia con Afterlife. Cresciuto nell'amore per i generi e per la cultura pop, Anderson predilige il New Horror e la fantascienza post-Alien, ma subisce al contempo l'influenza dell'intrattenimento elettronico e dell'industria televisivo-musicale, evidente sia nei ritmi ossessivi dell'azione sia nelle ingerenze martellanti della colonna sonora. Queste suggestioni trovano in Resident Evil una ideale valvola di sfogo, raggiungendo la forma - piaccia o meno - più compiuta: se il primo film era sostanzialmente un horror fantascientifico, figlio di Alien e The Cube più che dei morti viventi romeriani, ma ancora con una dose tangibile di suspence, in seguito il franchise ha abbracciato i suoi sviluppi più distruttivi, preferendo concentrarsi sull'azione "sovrumana" che deriva dal fantasy e dall'immaginario supereroistico (non a caso diffusissimo, ora più che mai, grazie ai cinecomic). L'esito non è altro che un pastiche, come sempre nel cinema di Anderson; i riferimenti del regista si affastellano all'interno della messa in scena, si accumulano con quella minima coerenza che permette di confezionare un prodotto onesto. Piuttosto, in Retribution il problema riguarda la formula, ormai un po' logora. L'instancabile Alice corre, salta e combatte quasi ininterrottamente per novanta minuti, un'ora e mezza di esplosioni (tante) e mostri (pochi) legati da un'esilissima traccia narrativa, puro pretesto per l'azione. Ovviamente non c'è alcun intreccio, e la tensione ormai non esiste più. Basta però un pizzico di attenzione per provare un senso di deja-vu: il film è infatti costruito come una versione "gonfiata" del primo episodio, non solo per il ritorno di alcuni volti noti (antagonista compresa), ma anche per l'idea stessa alla base della trama, ovvero la fuga da una struttura ipertecnologica sotto al livello del suolo, naturalmente infestata dal T-Virus. Da qui nasce un risvolto curioso, forse involontario, eppure ingenuamente "metalinguistico": rifornita di armi ed equipaggiamenti in quelli che sembrano in tutto e per tutto dei checkpoint, calata in ambienti simulativi che riproducono le più importanti metropoli del mondo, guidata da mappe virtuali che le permettono di orientarsi, la nostra Alice diventa effettivamente l'eroina di un videogioco, poiché il film stesso ne adotta codici e cliché rappresentativi. Non è la prima volta che accade al cinema, ma dimostra il flusso di costante influenza reciproca che intercorre fra i due mezzi. Per il resto, Retribution coglie a tratti qualche ideuzza divertente (i titoli di testa con l'azione che scorre al contrario, alcune geometrie scenografiche negli interni) e a tratti cade nel kitsch, imponendosi come l'ennesimo giocattolone spensierato e fracassone, con personaggi piatti e poco coinvolgenti.
Ma per lo meno Alice, nel solco già tracciato dalla "mitica" Ripley di Aliens, affronta un processo di umanizzazione attraverso la maternità, per quanto forzato e anonimo possa sembrare.