Le sole persone che esistono sono quelle che hanno la demenza di vivere…
“Conobbi Dean che mio padre era morto da poco. Ero un giovane scrittore che tentava di decollare… con l’arrivo di Dean Moriarty cominciò quella parte della mia vita che potremmo definire la mia vita sulla strada”.
New York, 1949. L’emergente scrittore Sal Paradise (Sam Riley) conosce l’ex pregiudicato Dean Moriarty (Garrett Hedlund), sposato con la disinibita sedicenne Marylou (Kristen Stewart).
Attratto dal fascino e dalla spregiudicatezza dei due, Sal si lascia coinvolgere in un lungo viaggio lungo l’America alla ricerca di se stessi, mossi dal desiderio della scoperta, dalla volontà di ribellione all’omologazione e da un’inquietudine esistenziale da scacciare in qualunque modo.
…che vogliono vivere tutto in un istante, quelle che non sanno sbadigliare.
Scritto nel 1951, pubblicato nel 1957 e trasposto in un film nel 2012. On the Road, romanzo culto di Jack Kerouac e manifesto programmatico della Beat Generation, viene “finalmente” adattato per il grande schermo dopo tanti tentativi andati a vuoto.
Lo stesso Kerouac scrisse una lettera a Marlon Brando chiedendogli di acquistare i diritti del suo libro per farne un film: Brando avrebbe dovuto interpretare Dean e Kerouac il suo alter ego letterario, Sal Paradise. Nel 1968 Francis Ford Coppola acquistò i diritti per una trasposizione del romanzo, ma ogni tentativo di adattamento si risolse in un nulla di fatto.
Poi nel 2004 è stato coinvolto Walter Salles, reduce dal successo de I diari della motocicletta, e il film ha lentamente preso forma. Ma a che pro?
Uno dei (moltissimi) problemi di On the Road versione cinematografica è il suo essere inevitabilmente anacronistico, latore di un ribellismo obsoleto, di una spregiudicatezza innocua e di una ricerca di espressione e di libertà tratteggiate in maniera frettolosa, superficiale, da bignamino.
Fondamentalmente fedele alla trama del libro, il film di Salles ne tradisce lo spirito: tanto lo stile narrativo di Kerouac era frenetico, vitale e coinvolgente, quanto la messa in scena filmica è piatta, banale, patinata e inerme. On the Road si dilunga per quasi due ore e venti senza un centro nevralgico, accumulando situazioni bozzettistiche che tengono a fatica legati insieme i fili della storia, ma soprattutto non riescono a creare un mood, un affresco esistenziale e/o generazionale minimamente interessante.
Walter Salles indugia fin troppo sulle scene di sesso e sulle sregolatezze sessuali dei suoi personaggi, denunciando, di fatto, una pressoché totale mancanza di idee e una concezione della trasgressione e della ricerca di se stessi molto facilona, sterile e controproducente. Non ci si appassiona mai alle vicende di Sal, Dean e Marylou, personaggi vuoti tanto in superficie quanto in profondità, tagliati con l’accetta, privi di spessore psicologico, prevedibili e banali nella loro continua ricerca di una vita priva di luoghi comuni e sbadigli.
Sbadigli garantiti invece da un film noioso e alla lunga ripetitivo, corredato da camei illustri (da Kirsten Dunst a Viggo Mortensen, da Amy Adams a Steve Buscemi) ma mal sfruttati, che non fanno altro che accrescere la sensazione di trovarsi di fronte a un’opera dispersiva e apatica, fondamentalmente un’occasione persa.
A risollevare la baracca non aiutano certo i tre protagonisti, uno più inespressivo dell’altro. Pensare che il ruolo di Dean Moriarty sia stato offerto, tra gli altri, a Marlon Brando e Brad Pitt e poi sia finito a un Garret Hedlund bolso e monocorde non fa altro che aumentare le recriminazioni. Kirsten Stewart si conferma, invece, una delle attrici più svogliate e indisponenti del panorama hollywoodiano contemporaneo: scialba e dimenticabile come il suo personaggio.
L’unico a metterci un po’ di impegno è Sam Riley, ma la sua non è certo una di quelle prove che lasciano il segno e sono degne di essere ricordate.
Insomma, On the Road di Walter Salles è il classico prodotto che, malgrado le premesse, ha poco o nulla da dire e quel poco lo dice male. Molto male.