Mischiando sapientemente dramma e commedia, Woody Allen ci regala uno dei migliori film della sua filmografia recente, segnato dalla straordinaria prova di una Cate Blanchett in odor di Oscar.
Dopo le discontinue incursioni europee, toccando il punto più basso di un’illustrissima carriera con l’indifendibile e disastroso To Rome with Love, Woody Allen torna negli Stati Uniti, ma non nell’amata e più volte raccontata New York, bensì in quella San Francisco già scenario della commedia teatrale Provaci ancora Sam, diventata poi il celeberrimo film diretto da Herbert Ross.
L’Europa seducente e sofisticata viene solamente rievocata dai ricordi della protagonista, ambientazione da sogno in feroce contrasto con la dimensione più popolare e operaia della città californiana, lontana dagli effimeri lustrini della vicina Hollywood e distantissima (non solo geograficamente) dalla alto-borghese costa Est dove Jasmine (Cate Blanchett) si è costruita la sua immagine di donna di successo, benestante e snob, mantenuta dal facoltoso e affascinante marito Hal (Alec Baldwin).
Quando Hal viene arrestato in seguito ad alcune truffe finanziarie, il mondo di Jasmine crolla miseramente come un castello di carte, e la donna finisce col perdere tutto: i soldi, la casa, i preziosissimi gioielli e perfino il figliastro, deciso a chiudere i ponti con la famiglia, soprattutto con la matrigna.
Jasmine si ritrova così a dover ricominciare da capo e affrontare nuovamente un passato e un ambiente che credeva essersi definitivamente messi alle spalle. La donna, infatti, dietro una facciata avvenente ed elegante nasconde ferite profonde che il fallimento del suo sogno non ha fatto altro che risvegliare.
Woody Allen tratteggia una delle figure femminili più tragiche della sua recente filmografia, un personaggio imprigionato in un microcosmo mentale di illusioni e bugie dal quale non riesce e non intende emanciparsi, mistificando costantemente la realtà e facendo della menzogna un tratto esistenziale distintivo. Perfino il suo vero nome non è Jasmine, coerentemente con la costruzione di una vita parallela alternativa allo squallore e alla mediocrità da cui ha cercato di scappare per tutta la vita e che ora rimprovera alla sorella Ginger (una ottima Sally Hawkins).
Tutto nella vita di Jasmine/Janette è fondato sulla falsità e sull’assuefazione passiva e connivente con essa: anche quando le cose sembrano volgere al meglio, Jasmine non può fare a meno di mentire, di abbellire con fantasticherie un’esistenza che vorrebbe perfetta e che deve, al contrario, far fronte alle inevitabili delusioni e difficoltà della vita. Il mondo “altro” che Jasmine si è costruita risiede tutto nella sua psiche, negando l’evidenza di una quotidianità complessa e dolorosa, e lo scontro tra la realtà ideale e quella fattuale non può che risolversi in maniera drammatica.
Guardando ai ritratti di donna del teatro di Cechov e Ibsen, oltre a modelli cinematografici come Cassavetes e il sempre amatissimo (ma ultimamente troppo spesso dimenticato) Bergman, Allen costruisce uno dei suoi film più sinceri e dolenti, spietato e caustico nel tratteggiare una figura femminile alla deriva, tragicamente schiava di quelle illusioni e dei ricordi del passato con cui vorrebbe mitigare la propria inadeguatezza.
Rispetto ai suoi drammi da camera più riusciti come Interiors o Un’altra donna, Allen alleggerisce la tensione con riusciti tocchi di humour nero, sottolineando così ulteriormente la natura grottesca e tragica della storia. Cate Blanchett è poi strepitosa nell’incarnare, lontana da ogni manierismo, le molteplici sfaccettature che segnano le varie fasi del lento e progressivo crollo psicologico di una protagonista tormentata, avvolta dal mantello dell'illusione che ne copre l'anima afflitta, senza riuscire a coprirla del tutto, e irrimediabilmente smarrita nel suo labirinto di inganni.