Le Weekend

Voto: 3/5 - 
Un film di Roger Michell. Sceneggiatura: Judith Davis
Genere: Commedia - Regno Unito (2013) Durata: 93min.
Produzione: Film4, Free Range Films, Le Bureau. 
Distribuzione: Lucky Red
Nick e Meg sono una coppia inglese di ultracinquantenni: lui professo re universitario, lei insegnante di liceo. Decidono di festeggiare il loro trentesimo anniversario di matrimonio tornando per un weekend a Parigi, dove avevano trascorso la loro luna di miele. L'incontro inaspettato con un vecchio amico, Morgan, riuscirà a far capire a Nick tutto quello a cui tiene davvero nella vita, e nel suo matrimonio con Meg.

Cinema innocuo, quello contenuto in Le weekend. Si incastra alla perfezione nella filmografia di Roger Michell, regista d’origine sudafricana, naturalizzato inglese, accolto con gioia negli Stati Uniti. La sua intera opera non presenta né capolavori, né disastri (a parte, forse, il noiosissimo A Royal Weekend con Bill Murray): dal riuscito adattamento di Persuasione della Austen allo stratosferico (almeno ai botteghini) Notting Hill, dai coraggiosi (a prescindere dal risultato finale) The Mother e L’Amore Fatale alle non disprezzabili esperienze americane con Ipotesi di reato e Il buongiorno del mattino, si è mosso tra i generi con l’agilità del mestierante non improvvisato, di colui che sa di non essere Vertov e che, egualmente, vuol portare a casa risultati dignitosi.

Nel caso di Le Weekend agisce, se possibile, in maniera ancora più astuta: e unisce la competenza di due attori strepitosi (Lindsay Duncan e Jim Broadbent), li immerge in un contesto di dolorosa crisi coniugale (i due non sono – finalmente – due morti di fame o dei ricconi annoiati, ma due professori stanchi e professionalmente non realizzati) proiettata nelle belle strade di Parigi, tappa del loro viaggio di nozze e della gitarella d’anniversario che dà il titolo al film. Non si riesce a odiarlo, Le Weekend: vuoi per il mestiere dei protagonisti, vuoi per la fotografia di una relazione in grado – e non è poco – di essere spietata e al tempo stesso godibilmente retorica, il film si fa perdonare gli scivoloni attribuibili sostanzialmente a una sceneggiatura troppo parlata, che ne massacra certe intenzioni di dolente intensità e che, tuttavia, si riesce a sostenere grazie al piglio degli interpreti. Se gli stereotipi sono sempre dietro l’angolo - ne è perfetto esempio e lo scrittore-amico di lunga data interpretato da Jeff Goldblum, trapiantato a Parigi in una corte di salottieri, mogli bambine e scrittori radical chic da strapazzo – resiste una certa dolcezza pre-geriatrica che, seppur velatamente ipocrita, non distrugge la discreta forma dell’opera. Che, tra l’altro, si concede nel finale una bellissima citazione in movimento da Bande à part: come dirne male?
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