The Congress

Voto: 3/5 - 
Un film di Ari Folman. Sceneggiatura: Ari Folman, Stanislaw Lem (soggetto)
Genere: Fantascienza - Stati Uniti (2013) Durata: 122min.
Produzione: Bridgit Folman Film Gang, Pandora Film, Opus Film, ARP Selection, Entre Chient et Loup. 
Distribuzione: Wider Films
Robin Wright è un'attrice in fase calante che, per dare una svolta a vita e carriera, decide di accettare la proposta di un suo vecchio produttore: permettere che la propria immagine venga scansionata per creare una sua copia digitale, di proprietà degli studios che reciterà al suo posto per i successivi vent'anni.

Dall'apocalittico Il giorno della locusta di John Schlesinger all'edonistico The Canyons di Paul Schrader, passando per il presagio di morte che aleggia ne I protagonisti di Robert Altman o in Boogie Nights di P.T. Anderson, non si può certo dire che quando Hollywood rifletta su sé stessa pecchi di spirito autocritico. Nella maggior parte dei casi, poi, questi esami di coscienza sfociano in opere di una bellezza tale da, paradossalmente, rischiare di sconfessare la tesi che essi stessi sostengono: quella di un'arte ormai totalmente piegata all'interesse economico.

Ari Folman non è certo cresciuto ad Hollywood, ma dopo essersi imposto all'attenzione internazionale grazie a Valzer con Bashir, vi è sbarcato per questo suo nuovo lavoro e, rispetto a tanti che l'hanno preceduto e a quanto racconta egli stesso nel suo film, sembra esser riuscito nell'impresa di non cedere un solo centimetro a grande pubblico e produttori: godendo di un enorme libertà creativa, The Congress è l' adattamento de “Il congresso di futurologia” di Stanislaw Lem (autore, tra gli altri, di Solaris), nel quale si descrive un futuro in cui spopolano farmaci in grado di alterare la percezione della (desolante) realtà.
Tuttavia, nella trasposizione di Folman, l'idea alla base del romanzo si misura innanzitutto col Cinema: una Grande Macchina in cui gli attori verranno prima progressivamente sostituiti dalla loro copia digitale (ma, del resto, non sono già allo stato attuale burattini nelle mani delle major?) e, successivamente, l'idea stessa di “film” scomparirà, rimpiazzata da sostanze che, una volta inalate, permetteranno a chiunque di trasformarsi nel proprio personaggio prediletto, popolando il mondo di Frankenstein, divinità egizie e santoni, Michael Jackson e Marylin Monroe, Uomini Senza Nome e John Wayne: il Cinema quindi straripa nella vita, che smette di essere realtà e diventa perenne allucinazione lisergica.

Come già detto, a Folman sembra esser concessa piena autonomia: ritorna l'animazione (alternata però al live action), che se in Bashir smorzava la crudezza del reale, in questo caso sovrappone violentemente i suoi colori sintetici alle sfumature della realtà, incaricata di celarne colori freddi e corrispondenti complessità esistenziali. La tecnica, inoltre, permette al regista di realizzare delle sequenze che, per libertà associativa, sfiorano quasi il videoclip: ne abbiamo un esempio in quella costruita sulle note di "Forever Young"; ed il lavoro, ovviamente, trabocca di citazioni cinematografiche: l'entrata al Miramount Hotel è accompagnata dal Piano Trio di Schubert, reso famoso da Barry Lyndon, mentre Robin Wright è interprete, tra le altre cose, di un remake del Dottor Stranamore; a ciò si aggiunge l'estetica di diversi personaggi animati, ricalcata su quella Disney dell'epoca d'oro.

A dispetto di quest'energia creativa, però, The Congress non appare realmente centrato nelle tematiche: quella che da principio appariva esclusivamente come un'esplorazione metacinematografica si trasforma, a pieno diritto, in sci-fi distopico sull'esempio di Paprika, Matrix, eXistenZ e tanti altri: ma oggi, a battere una strada così consumata, si rischia di risultare scontati per quanti abbiano anche solo un elementare background fantascientifico. Ed anche la semplice riflessione sul Cinema lascia incerti: ha davvero senso descriverlo come un ambiente governato da pescecani e sulla via della spersonalizzazione, o parlare di un mondo in cui solo chi non vede (Aaron, interpretato da Kodi Smith-McPhee) è in grado di sentire? Le intenzioni possono anche essere lodevoli, ma delle prese di posizione così nette, in un universo in cui Folman ha ancora la possibilità di girare un lavoro del genere, non possono che risultare manichee: è anche merito del Cinema se siamo ancora in grado di conservare il nostro contatto con la realtà.
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