Premessa fondamentale: la visione del sangue mi atterrisce. Sento un groppo all’imboccatura dello stomaco e, nei casi più gravi, svengo. Questa rivelazione molto personale è, anche se non sembra, indispensabile per soppesare e comprendere le mie parole di spettatrice di fronte a The Knick, il nuovo, disturbante, hospital drama di Steven Soderbergh .
Ambientato in una New York dei primi anni del ventesimo secolo, The Knick, scritto da Jack Amiel e Michael Begler, ci racconta le vite e gli accadimenti che si celano dietro le porte del Knickerbocker, un ospedale che raccoglie e cura i più poveri immigrati della città, finanziato da un consiglio di ricchi filantropi. In questo contesto giganteggia un brillante chirurgo: pesantemente dipendente da eroina, frequentatore assiduo dei bordelli della città, Clive Owen regala la sua intensa interpretazione ad un pioniere della chirurgia moderna John Thackery.
Il personaggio è liberamente ispirato da uno dei pionieri della chirurgia moderna, John Halsted, dipendente dalla cocaina e audace sperimentatore di tecniche rivoluzionarie (fu il primo a effettuare una trasfusione di sangue d’emergenza negli Stati Uniti).
Ovviamente, però, il personaggio è pieno di quella magia e quel carisma che definiamo fascino televisivo: l’immagine iniziale di Clive Owen disteso sul letto di un bordello, immerso nella luce fumosa e rossastra, ricorda sin troppo da vicino il Johnny Depp di From Hell, e forse si discosta dalle ambizioni “realistiche” di The Knick.
La storia della medicina chirurgica è un contesto interessantissimo da raccontare, ma, allo stesso tempo, meravigliosamente pulp: la visione di mani e polsi non guantati a rovistare nelle viscere di pazienti, cicatrici a un passo dall’infezione, fiotti e rivoli di sangue su lenzuola e pavimenti sono la norma in The Knick. Preparatevi una boccetta di sali accanto al divano se, come me, siete animi impressionabili e sensibili.
La serie si apre con la sequenza emblematica di un’operazione ostetrica che termina nel peggiore dei modi di fronte a un auditorium di spettatori in attesa di apprendere la tecnica del cesareo.
Uomini vestiti di bianco si affaccendano attorno al tavolo operatorio come soldati. Presto, tuttavia, un fiume rosso scurissimo di sangue inizia a scorrere ovunque, riempie ogni recipiente, inzuppa ogni garza. Tutto questo promette qualcosa di davvero potente: un ragionamento sulle basi dell’innovazione chirurgica, le mani e le ragioni – anche economiche – alla base della medicina come oggi la conosciamo.
Invece, i primi tre episodi, piuttosto che creare un linguaggio innovativo in termini di visione e scrittura, ripropongono la formula di un plot incentrato completamente sull’antieroe, che non fa altro che diluire le altre tematiche potenzialmente molto più interessanti. Nulla di nuovo sul fronte occidentale.
The Knick è infatti una parziale ricostruzione storica, non sempre accurata, e guidata da un protagonista, Thackery che ci è già troppo famigliare (House? Ho per caso sentito dire House?). E’ un ribelle, un solitario, un genio assoluto con un orrendo carattere; è anche un drogato, senza mezzi termini, che ama fumare oppio e frequentare prostitute orientali. In totale affinità col contesto è anche un razzista che rifiuta totalmente di lavorare accanto al Dr. Algernon Edwards, il dottore Negro che viene assunto dalla figlia del direttore dell’ospedale (Juliet Rylance) come suo vice. Tutto questo in anticipo di vent’anni sul vero primo medico afroamericano che abbia mai lavorato in un ospedale di New York (il Dr. Louis Wright dell’Harlem Hospital).
E’ un espediente poco verosimile, introdotto per offrire un quadro più ampio sui conflitti che da allora, ancora, animano la società americana, offrendo inoltre un controcanto più etico e professionale alla ruvida personalità di del Dr. John. Anche qui riusciamo ad intuire molto bene come la storia proseguirà: abbiamo di fronte due menti geniali che lottano per emergere e affondare l’altro – la dinamica più vecchia del mondo.
Sappiamo che Steven Soderbergh ha abbandonato il cinema, ma non certo il suo stile di regia, che continua a mettere in campo televisivo: sul primo episodio leggiamo le sue impronte digitali sull’utilizzo massiccio di camere a spalla, nelle inquadrature e nell’attenzione minuziosa e morbosa per i dettagli fisiologici – secreti – delle operazioni chirurgiche, traboccanti di fluidi e materie caliginose che evidenziano l’atteggiamento pionieristico e sperimentate del Knickerbocker.
Il risultato è un prodotto televisivo ben girato, studiato e molto ben interpretato. Purtroppo, però, in definitiva The Knick è una serie deludente considerando alcuni aspetti di scrittura e creazione che, in un contesto storico così ben delineato e presente, diventano snodi fondamentali su cui fare la massima attenzione.
E comunque, visto che svengo di continuo, magari mi fate voi un riassunto a fine serie ☺