Siamo nel 1996 e al Festival di Cannes vediamo per la prima volta un film chiamato Fargo, scritto e diretto da due fratelli: Joel e Ethan Coen, allora ancora poco conosciuti al grande pubblico. Fargo era il loro sesto film, ma fu il primo in grado si attirare su di loro le luci della ribalta e di fissare quelli che, di lì in avanti, sarebbero diventati gli stilemi di uno stile di regia particolare, da studiare nelle scuole di cinema (per la cronaca quell’anno, a Cannes, Fargo vinse il Premio della Giuria, cui poi seguirono diverse nomination ai Golden Globe e poi due oscar nel 1997, per la miglior sceneggiatura originale e per la migliore attrice protagonista).
Noi, che quello stile di regia, effettivamente, l’abbiamo studiato alla scuola di cinema, ci siamo accostati con occhi-a-forma-di-cuore alla omonima serie TV di casa FX.
Del film, la serie segue la trama solo per sommi capi: si tratta e si trattava di una storia di omicidi e truffe in una sperduta cittadina del Minnesota. A fare la differenza allora, come adesso, sono il tono e lo stile. In un continuo ed equilibrato intreccio abbiamo di fronte crime, black comedy, la stessa atmosfera e lo stesso stile grottesco e surreale: Fargo costruisce una storia intrigante, raccontata però con uno sguardo personalissimo e riconoscibile come quello dei Coen. E’ una serie antologica come tante delle serie cult degli ultimi anni: possiamo citare, giusto gli esempi più eclatanti di American Horror Story o True Detective. Quindi la prima stagione ha una trama perfettamente auto-conclusiva mentre la seconda (ancora eventuale, ma ci auguriamo tantissimo di poterla vedere) seguirà personaggi e storie differenti, sempre ambientate nello stesso posto: Fargo è prima di tutto una città, un luogo innevato dove vogliamo restare perché, come abbiamo imparato, “molte cose possono capitare nel bel mezzo del nulla”.
La trama
Le vicende si dipanano seguendo un personaggio particolarissimo, che, senza troppa sicurezza, possiamo chiamare Lorne Malvo (Thornton): criminale misterioso e filosofico, che incontra e cambia la vita di Lester Nygaard (Freeman), pavido e represso venditore di assicurazioni. Da questo incontro scaturiscono un’infinità di avvenimenti, legati tra loro solo dall’attività criminale di Lorne Malvo: tensioni, distensioni, accadimenti tragici e totalmente divertenti la cui forza surreale è esaltata dal contesto, apparentemente “vuoto”, pieno solo di neve e silenzio. Ma accanto alla scrittura sempre calibrata in modo da inscenare violenza truce, ma in maniera leggera e divertente, bisogna dire grazie e grandi bravo al cast di attori.
Su tutti spiccano Billy Bob Thornton, delinquente sporco e criptico ma anche stranamente simpatico e saggio, e soprattutto Martin Freeman, perfetto nella parte del timido e impacciato Lester, sopravvissuto a una vita di umiliazioni e pronto a un riscatto tragicomico. I Coen figurano come produttori esecutivi e il cast è d’eccezione: abbiamo citato i due protagonisti, ma, ve lo riveliamo perché quasi irriconoscibile, c’è anche Bob Odenrkirk, l’altrettanto amatissimo Saul Goodman di Breaking Bad.
Il risultato complessivo è, per chi ama questo particolare stile, divertimento puro: tutto assolutamente bellissimo e facilmente apprezzabile anche da chi non dovesse aver mai visto un film dei Coen (però se la serie Fargo vi è piaciuta, guardatevi tutta la filmografia e poi fatemi sapere se i miei consigli vi sono stati utili), ma, ovviamente, il tutto è ancora più interessante per chi invece il Fargo originale l’ha visto e apprezzato, perché potrà ritrovare alcuni temi e situazioni amate, come l’avviso iniziale sul fatto che quello che stiamo per vedere è tratto da una storia vera (e non è affatto così, o quasi).