La spia - A Most Wanted Man

Voto: 3/5 - 
Un film di Anton Corbijn
Genere: Spionaggio - Stati Uniti, Germania, Gran Bretagna (2014) Durata: 122min.
Produzione: Amusement Park Films, Demarest Films, Film4, The Ink Factory, Potboiler Productions. 
Distribuzione: Notorious Pictures
Data Uscita cinema: 30/10/2014
Anton Corbijn adatta un romanzo di Le Carré: il suo è un thriller freddo e posato, senza bagliori ma di buona fattura, impreziosita da ottimi interpreti e da una sceneggiatura accattivante.

Il cinema e i romanzi firmati dall’ex agente segreto John Le Carré hanno sempre avuto un rapporto onesto e continuativo; delle trasposizioni sul grande schermo in merito alle poderose vicende di spionaggio create dall’autore britannico sono rimaste tracce più che dignitose, a partire da La spia che venne dal freddo (1965) di Martin Ritt, passando per Chiamata per il morto (1966) di Sidney Lumet, La Tamburina di George R. Hill (1984, con una strepitosa Diane Keaton) fino ad arrivare ai più recenti The Costant Gardener (2005) di Fernando Meirelles e La Talpa (2011) di Tomas Alfredson (già trasposto come miniserie tv alla fine degli anni ’70). Tutte opere godibili, senza particolari guizzi, ma solide e ordinate, valorizzate da regie ispirate senza mai essere troppo invasive, e da interpretazioni di rigoroso spessore. Non fa eccezione La spia – A Most Wanted Man, ispirato a Yssa il buono (pubblicato in Italia da Mondadori) e ambientato in una silenziosa e timorosa Amburgo, le cui coste lambite da acque limacciose accolgono il ceceno Yssa (Grigoriy Dobrygin)in fuga da un passato di orrori, pronto a salutare con tenacia l’arrivo di una nuova esistenza, imperniata sulla fede nei confronti di Allah.

Il film di Anton Corbijn, fotografo e videomaker olandese cinto di allori cinematografici al suo esordio di finzione (Control, 2007, sulla vita di Ian Curtis) per poi essere spernacchiato dai più a causa del secondo film (The American, 2010), si inserisce perfettamente nelle linee e nelle dinamiche delle opere ispirate Le Carré sopra citate. Aiutato dalla sobria sceneggiatura di Andrew Bovell, Corbijn è in grado di formulare e strutturare una stratificata vicenda impegnandosi a irrobustire, scena dopo scena, caratteri, riflessioni e intenzioni dei suoi personaggi. Basta poco; o, perlomeno, basta avere un protagonista di incredibile talento come il compianto Philip Seymour Hoffman, qui nei panni (ingombranti) di Günther Bachmann, rodata spia disposta a tutto pur di catturare un universitario musulmano che foraggia in segreto attività terroristiche.

L’attore di Capote e Onora il padre e la madre recita a briglia sciolta, alternando maniera a istinto, lavorando sulle sfumature, sul movimento e sull’espressività come solo pochi interpreti dell’ultimo ventennio sono stati in grado di fare. Non c’è – volutamente – nulla di chiaro o troppo esplicito nel suo Bachmann: gioviale o solitario, burbero o affabile, riesce a rendere naturale un personaggio che risulta piacevole e parimenti sgradevole. Il fuoco di Hoffman fa da perfetto contraltare alla glaciale atmosfera in cui Corbijn immerge la storia, alla ricerca di un formalismo già sperimentato con altre trasposizioni da Le Carré: ritmo lento e pacato, dialoghi misurati, procedimenti di sviluppo narrativo puntuali e precisi anche quando i grovigli sembrano più intricati che altro.

Dopo gli ultimi tre anni passati a farsi le ossa sui set di Allen, Malick e De Palma, Rachel McAdams riconferma le sue doti di intensa leading lady, a prescindere dal contesto e dal genere che la coinvolgono (qui riesce perfino a tener testa a un gigante come Hoffman): la sua avvocatessa pasionaria avrebbe rischiato di essere banalizzata, se affidata ad altre attrici, ma McAdams si impegna a renderla credibile in maniera encomiabile e appropriata. Funzionano inoltre molto bene i personaggi di contorno: su tutti, anche più di star come Willem Dafoe e Robin Wright, spicca Nina Hoss, apprezzata attrice tedesca cui Corbijn regala l’intensità di primi piani dolenti e repressi, gli unici momenti - che si trascinano anche nell’impietoso, riuscitissimo finale - in cui il film sembra essere veramente libero. Nei formalismi di cui sopra, nei gangli del film di spionaggio-tipo e dentro una storia di tradimenti e vantaggi La spia – A Most Wanted Man scivola con grazia, freddezza e algido pudore, senza iperboli né bollori, ma con posata, limpida onestà.
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