Sono trascorsi nove anni da
Primer, il film che ha rivelato lo spiazzante talento di
Shane Carruth, e in tutto questo tempo il regista americano non è rimasto inattivo: si è infatti dedicato allo sviluppo di
A Topiary, progetto che
Entertainment Weekly ha descritto come "un'epica fantascientifica incentrata su alcuni bambini che costruiscono una creatura gigante dalle fattezze animali", mentre il regista Rian Johnson (
Looper) ne ha lodato la sceneggiatura definendola «pazzesca». Enormi aspettative, insomma. Purtroppo, però,
A Topiary è precipitato in una fase di stallo, e Carruth è stato costretto a sospendere la pre-produzione; in un'intervista rilasciata proprio a
EW, l'autore si è riferito a questo progetto come «la cosa su cui ho praticamente sprecato tutta la mia vita».
La reazione a questo evidente rammarico, comune a tutti quei registi che non riescono a concretizzare i propri sogni cinematografici (Terry Gilliam vi dice nulla?), prende la forma - sfumata e amorfa - di
Upstream Color, affascinante mosaico di suggestioni visive e uditive che sfugge a ogni possibile categorizzazione.
Il film di Carruth, uscito quest'anno, comincia con un inquietante episodio di abusi: una giovane donna di nome Kris (
Amy Seimetz) viene drogata da un ladro (
Thiago Martins), che introduce nel suo corpo un nematoda, un verme che infetta il suo organismo inducendole uno stato mentale estremamente suggestionabile. In questo modo, il ladro riesce a farsi consegnare da lei il valore in denaro della sua casa, mentre la tiene occupata facendole copiare a mano alcune pagine tratte da
Walden di Henry David Thoreau, piegate poi in forma di anelli e collegate fra loro in una catena. Quando il ladro se ne va, Kris riacquista coscienza di sé, ma nota con orrore che il nematoda, cresciuto in dimensioni, sta strisciando sotto la sua pelle. La ragazza si ferisce nel tentativo di estrarlo, inutilmente, e viene salvata dall'intervento di un enigmatico Campionatore (in originale The Sampler) che sfrutta le onde sonore per far emergere i nematodi dal terreno, e gestisce un allevamento di maialini: l'uomo, dopo aver attirato Kris con le medesime onde sonore, la sottopone a una trasfusione che la libera dai vermi, trasferendoli nel corpo di un maialino. La ragazza si risveglia quindi all'interno di un'auto, senza memoria di ciò che le è successo, solo per realizzare che la sua vita sta andando a rotoli: ha perso il lavoro a causa dei giorni di assenza, e i suoi risparmi ovviamente sono spariti. Quando però incontra Jeff (
Shane Carruth), un uomo che prende il suo stesso treno, sente di condividere con lui un legame misterioso, e i due cominciano una relazione che nasconde molte incognite...
In questa sinossi ho cercato di esporre la trama in maniera chiara, palesando i legami di causa-effetto, ma non lasciatevi ingannare:
Upstream Color non è neanche lontanamente così didascalico. La narrazione è rarefatta ed estremamente frammentaria (ogni singola sequenza ha una durata limitata, o comunque viene interrotta nel suo svolgimento), e il film procede per suggestioni, pennellate veloci che potrebbero ricordare lo stile di Terrence Malick, pur senza replicarne l'astrattezza e il lirismo, ma conservando un rapporto con il corpo fisico - e con il suo interno - che ha sfumature vagamente cronenberghiane. I nessi logici restano in gran parte oscuri: si
percepisce, più che
comprendere apertamente. E ciò che si percepisce è il dialogo fra i tre principali "attori" della storia, Kris, Jeff e il Campionatore, le cui vite sono legate indissolubilmente all'esistenza del nematoda, in quanto elementi costitutivi di un
ciclo all'apparenza indistruttibile, senza fine. Il nematoda viene estratto dalle foglie delle orchidee blu, poi passa agli umani, in seguito ai maiali, e alla fine torna alle orchidee. Un vero e proprio
loop, ben simboleggiato dalle catene di carta che Kris è costretta a fabbricare sotto ipnosi.
In questo contesto, il ladro ha la funzione di carnefice (è "autore" del ciclo), Kris e Jeff di vittime (sono prigionieri del ciclo), mentre il Campionatore agisce da ambiguo osservatore: è a conoscenza del
loop, ma non fa nulla per spezzarlo. Kris e Jeff possono contare solo sulle proprie forze per interromperlo, ed effettivamente
Upstream Color sembra omaggiare l'idea della rottura di un ciclo come riappropriazione della propria libertà, pur all'interno di uno schema che connette fra loro gli esseri viventi. La libertà, sembra dire Carruth, non è nell'iterazione ossessiva delle abitudini consolidate, ma nella loro distruzione, che permette di riavvicinarsi alla natura come suggerito da Thoreau in
Walden.
Naturalmente, nulla di tutto questo è reso esplicito dal film:
Upstream Color stimola il pubblico a ragionare, a interpretare il suo poema visivo in assoluta libertà. Di sicuro, però, un ruolo fondamentale è quello giocato dal tessuto sonoro. Lo stesso Campionatore, come il Philip Winter di
Lisbon Story, vaga per le strade registrando la musica del mondo, che scova nel rumore di una pietra che cade o nel grugnito dei suoi maiali. E sono proprio i suoni a turbare la già movimentata vita sentimentale di Kris e Jeff: i due innamorati si scoprono ipersensibili a ogni minimo rumore, e vengono condotti alla fattoria del Campionatore dal ricordo subcosciente dei suoni che lui aveva l'abitudine di registrare. I suoni, insomma, sono il tessuto connettivo di tutti gli esseri viventi, si propagano come onde nell'oceano, e rivelano l'unione metafisica ed empatica tra Kris e Jeff, che faticano persino a distinguere i loro ricordi, ormai condensati nella stessa trama mnemonica.
Upstream Color è un'opera sfuggente, ammaliante, ipnotica. Nel ciclo vitale del nematoda si può individuare la sintesi di uno schema ricorrente, un
loop inarrestabile di nascita-morte-rinascita che caratterizza tutte le declinazioni della vita sulla Terra, e che scorre fluido anche nel torrente visivo e sonoro del film. Impossibile attribuirgli un senso univoco, o pretendere una comprensione totale e immediata:
Upstream Color è un prodotto che richiede una fruizione partecipata, aperta, libera da convenzioni pregresse, e conferma il talento di quello che, al momento, è l'autore più imprevedibile e innovativo del panorama
indie americano.
Da vedere, e possibilmente - come per
Primer - rivedere ancora.